lunedì 23 dicembre 2013

RACCONTI

La incontro spesso in paese, ci scambiamo chiacchiere e saluti leggeri, ma era parecchio tempo che non andavo a trovarla a casa. Lei è la mia zia ottantottenne, chiacchierona e allegra, con lo sguardo vispo che racconta di luoghi e tempi esistiti prima di me e di storie che adoro e che starei ad ascoltare in eterno. Entrare in quella casa che mi ha visto piccola, con la mia nonna preferita, è stato suggestivo ed emozionante. La sala dal pavimento a mattonelline colorate di beige e di nero, il camino, la veranda con l'albero di Natale che se no il cane ne fa una strage, le luci nel giardino pieno di ricordi belli, il ritratto della mia splendida nonna sedicenne appeso al muro, con uno sguardo così uguale a quello di mia figlia da farmi sussultare, la cucina  diversa da come la ricordavo, eppure con gli stessi identici rumori: le fronde dell'albero davanti alla grande finestra che sembrano darmi  il benvenuto con le loro braccia allegre, il ronzio del frigorifero, il telefono nel solito punto. E poi gli odori, i profumi e gli scricchiolii del legno, sembravo uscita di lì la sera prima in braccio ai mei genitori, con mia nonna che, con uno scialle scuro in testa, mi accompagna al cancello promettondomi che l'indomani mattina, presto, sarei tornata. Amavo quell'atmosfera di casa vissuta e piena di gente, viavai continuo di parenti vicini e lontani e sono certa che l'amore che ho per la mia famiglia sia nato lì, da loro. Loro che avevano il culto dell'accoglienza, con i Natali dove eravamo talmente in tanti che si apparecchiavano due enormi tavoli, dove si incominciavamo a prepare le centinaia di ravioli settimane prima e poi  mia cugina ed io andavamo a giocare nelle scale che portavamo di sopra e ridevamo a crepapelle per niente, fino alle lacrime Piene di gioia e serenità. Piene di buonumore e sicurezze.
E così oggi mi ha raccontato di quando da giovane, con mio padre, giocavano insieme ad un gatto grigio che si chiamava Barbablu, perchè la prima volta che l'avevano visto era notte fonda e il grigio sembrava blu, mi ha raccontato di quando in tempo di guerra si facevano coraggio stando a chiacchierare a letto, fino a tardi, inventandosi storie paurose, che tanto niente poteva fare più paura di quello che stavano vivendo nella realtà, di quanto ami il suo cane, di come sia divertente ed intelligente, mi ha raccontato storie su mia nonna, già conosciute, ma con particolari minuziosi, come se, più il tempo passa, più i vecchi ricordi hanno paura di essere dimenticati, e allora la incalzano, sempre più da vicino, per accorciare le distanze. Lo sguardo che va oltre me, come se Barbablu fosse in quella stanza e lei e mio padre due ragazzini che ci giocano insieme e io vorrei stringerla forte, dirle che i ricordi che ho con lei e in quella  casa sono tra i miei ricordi più belli, che so che mi vuole bene e che anche io gliene voglio tanto, ma la conosco troppo bene, per non sapere che mi direbbe se sono matta o impazzita e allora mi tengo tutto questo per me, me lo ributto nella pancia e rimango a guardarla e ad ascoltarla mentre con la sua voce, sonora e tremolante identica a quella di mia nonna, mi racconta parte della sua vita e io mi sento così onorata di poterla ascolare e così orgogliosa di averne fatto e di farne parte che me ne vado a malincuore, come quando ero bambina e non me ne volevo andare, perchè quella casa ha da sempre esercitato su di me un effetto positivo e favorevole, come solo le cose buone sono capaci di fare.

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